La
sentenza del TAR del Lazio riapre il dibattito sulla perequazione
Gianfranco
de Tullio
23 marzo 2010
Premessa
Il presente articolo ripercorre la sentenza
del TAR del Lazio in merito alle quote di edificabilità dei suoli, per capire
cosa c’è di nuovo in materia urbanistica e cosa viene semplicemente
riaffermato.
Quando si parla di perequazione dei regimi
immobiliari, infatti, bisogna tener presente che si ha a che fare con superfici
e volumi edificabili, la cui correlazione è estrapolabile dalle norme di piano;
ma se lo strumento urbanistico dice che una certa superficie è associabile ad
una relativa edificabilità, lo stesso non può altresì affermare che una quota
parte di tale edificabilità deve automaticamente essere riservata all’ente
pubblico, se la superficie è di proprietà privata.
Come emerge dai passaggi successivi, il piano
urbanistico (che sia piano strutturale o altro non importa se redatto unicamente
dall’ente pubblico), su terreni privati, non può riservare una quota di
edificabilità al Comune perché il piano non è un accordo tra le parti, in
quanto redatto da una parte sola: l’ente pubblico. Per far sì che il privato
ceda una quota di edificabilità al pubblico è tuttora doveroso passare
attraverso un accordo tra le parti con il consenso dichiarato dei contraenti.
Ricordando sempre che il fine ultimo del
Comune che pianifica deve essere l’interesse della collettività, il suddetto
accordo si può realisticamente raggiungere allorquando siano contemporaneamente
presenti, sia una certa competizione tra attori economici interessati alle
trasformazioni urbane e sia una consistente offerta di edificabilità per
generare un’ampia convenienza per il privato, a meno che non si trovino dei
privati benefattori disinteressati al profitto.
Il caso del PRG di Roma è tale proprio perché
un privato ha ritenuto opportuno far valere i propri diritti su un’area a cui
era associato un certo indice edificatorio, ma il piano ne riservava una quota
alla mano pubblica mediante un cosiddetto “contributo straordinario”, senza
alcuna legge (nazionale o regionale) che facesse riferimento ad un surplus di
oneri di urbanizzazione, creando quindi anche una certa disparità tra chi è
soltanto obbligato al pagamento dei comunissimi oneri di urbanizzazione.
1. La
sentenza del TAR del Lazio
Recentemente una sentenza del Tribunale
Amministrativo Regionale (TAR) per il Lazio ha influito sull’attuabilità del
PRG di Roma per come questo era stato approvato dal Consiglio Comunale in data
12/02/2008.
Il pronunciamento del tribunale è avvenuto in
seguito ad un ricorso da parte di un proprietario di un’area di 5.500 mq, su
cui erano già presenti manufatti oggetto di sanatoria (con provvedimenti del 07/06/2002)
per un’occupazione così ripartita:
-
uso
residenziale: 249 mq;
-
uso
non residenziale: 201 mq;
-
attività
industriali: 240 mq.
Nel previgente PRG di Roma l’area era
definita “Agro romano”, nel nuovo piano, invece, «è inserita:
-
per una superficie
pari a circa 3000 mq., in zona destinata a parco;
-
per la restante parte
di superficie, pari a circa 2500 mq., nei cd. “Tessuti prevalentemente
residenziali” della cd. “Città da ristrutturare, Ambito per i Programmi
integrati n. 3 del Municipio XX”, la cui disciplina è dettata anzitutto dagli
artt. 51, 52 e 53 delle Norme Tecniche di Attuazione (N.T.A.) del N.P.R.G. di
Roma»
(Sentenza TAR 1524/2010).
Mediante il ricorso si impugnano le
prescrizioni del nuovo piano per cinque motivi di seguito elencati e di cui
saranno ritenuti validi dal TAR solo il quarto e il quinto:
1) «illegittimità per eccesso di potere del combinato disposto degli artt.
52, comma 3, in parte qua, e 53 delle N.T.A. del N.P.R.G. per irrazionalità e/o
illogicità manifesta, per difetto di presupposti e di pubblico interesse, per
disparità di trattamento;
2) ulteriore illegittimità per eccesso di potere del
combinato disposto degli artt. 52, comma 3 in parte qua, e 53 delle N.T.A. del
N.P.R.G. per irrazionalità e/o illogicità manifesta, per difetto di presupposti
e di pubblico interesse;
3) in via subordinata, illegittimità, in parte qua,
dell’art. 52, comma 3, delle N.T.A. del N.P.R.G., in combinato disposto con
l’art. 53 delle N.T.A. del N.P.R.G., nonché degli artt. 14 e 13 delle N.T.A.
del N.P.R.G. per: A) violazione dell’art. 52 del L.gs. n. 112/1998 e degli
artt. 117 e 118 Cost.; B) violazione del principio di legalità e del principio
di nominatività e tipicità dei provvedimenti amministrativi; violazione
dell’art. 44 della L.R. Lazio n. 38/99, dell’art. 16 della L. n. 179/1992 e
della L.R. Lazio n. 22/1997, e in via generale della normativa in materia di
strumenti urbanistici attuativi; C) violazione degli artt. 27 e ss.. L. n.
457/1978; eccesso di potere per errore e falsità dei presupposti; illogicità e
contraddittorietà manifeste;
4) in via ulteriormente subordinata e gradata, illegittimità
degli artt. 17, 18 e 53 delle N.T.A. del N.P.R.G. per violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 7 della L. n. 1150/1942 e s.m.i. e dei principi generali in materia urbanistica
in relazione all’art. 42 Cost.;
5)
illegittimità del
combinato disposto degli artt. 53, comma 11, e 20, delle N.T.A. del N.P.R.G.
per violazione e falsa applicazione rispettivamente degli artt. 3, 5 e 6 della
L. n. 10/77 (ora art. 16 del T.U. dell’Edilizia approvato con D.P.R. n.
380/2001), nonché della L.R n. 35/77 e delle relative tabelle» (ib.).
Nei primi tre punti si contesta, in sintesi,
l’imposizione di ricorso al Programma integrato[1] (di
cui all’art. 53 della N.T.A del PRG e perimetrati in un elaborato di piano) per
quelle aree che, nel precedente piano, erano destinate a zona agricola o a
verde pubblico e servizi pubblici, relativamente agli interventi di DR
(demolizione e ricostruzione), AMP (Ampliamento) e NE (Nuova edificazione). Ma,
come accennato, i programmi integrati sono stati giudicati di competenza
dell’ente, che può utilizzarli secondo la L. 179/1992 per riqualificare il
tessuto urbanistico, edilizio ed ambientale, consentendo pluralità di funzioni,
integrazione di diverse tipologie di intervento, ivi comprese le opere di
urbanizzazione, in una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione
urbana con possibile concorso di più operatori e risorse finanziarie pubblici e
privati.
D’altronde è nota «l’evoluzione della concezione della pianificazione attuativa - fin
dagli anni Novanta dello scorso secolo - verso il modello “polifunzionale”,
rivolto a perseguire con un notevole grado di flessibilità operativa esigenze
non solo di recupero, ma anche di trasformazione e di sviluppo di ampie aree
territoriali» (ib.).
Per quanto concerne la perequazione, il TAR
del Lazio evidenzia l’enorme ritardo normativo in ambito nazionale, a
differenza di altri stati europei.
«È noto
[…] che gli istituti perequativi e compensativi si atteggiano – nelle leggi
regionali come nella prassi pianificatoria – secondo modalità assai
diversificate e difficilmente riconducibili ad unità, nonostante gli sforzi
della dottrina in tale direzione. E questo a maggior ragione in un contesto
ordinamentale caratterizzato, purtroppo, dalla prolungata inerzia del
legislatore statale nell’affrontare in maniera sistematica i nodi di fondo
della materia.
[…]
Ne
consegue, con particolare riferimento al principio di legalità e alle sue
implicazioni, che l’Amministrazione opera nell’esercizio di poteri previsti
dalla legge e con strumenti parimenti dotati di copertura legislativa: non è
sufficiente che il fine perseguito sia legittimo, perché è necessario che lo
siano anche gli strumenti impiegati» (ib.).
Il TAR non ha inteso discutere sulla
scientificità o le buone intenzioni del PRG di Roma, che tuttavia riconosce, ha
dovuto però esprimersi sui principi di legalità connessi alle modalità di
determinate procedure, non previste dalla normativa e, come vedremo, ricondotte
alla legislazione che regola la contrattazione pubblico-privato.
Entrando nel merito, l’art. 53 delle NTA del
nuovo PRG di Roma impone la seguente ripartizione di indici per interventi
diretti nei “tessuti della Città da ristrutturare”:
Chi è ricorso contestava la riserva a titolo
gratuito di una consistente quota parte dell’edificabilità di un’area privata a
favore del Comune, per violazione dell’art. 7 della L. n. 1150/1942 e dei princìpi
generali in materia urbanistica in relazione all’art. 42 della Costituzione.
«Sotto
il profilo giuridico, va riconosciuto che le tecniche perequative e compensative,
nonché consensuali, hanno già ricevuto, in generale, significativi avalli
giurisprudenziali (cfr. tra le altre Consiglio di Stato, sez. V, 21 aprile 2006
n. 2258; TAR Emilia Romagna Bologna, sez. I, 19 dicembre 2001, n. 1286; TAR
Veneto, sez. I, 19 maggio 2009, n. 1504)» (ib.), da programmare comunque in
risposta ad «effettive e proporzionate ragioni
di interesse pubblico (alle quali fa riferimento anche la giurisprudenza della
Corte di Giustizia europea)» (ib.).
Per come strutturata, nella perequazione
indicata, si rileva che, in riferimento agli ambiti di compensazione, si «configura una forma di espressa sottrazione
ai proprietari della parte maggioritaria della quota di edificabilità
aggiuntiva agli stessi riconosciuta. E questo - si badi bene - non come esito
di una negoziazione: la quota riservata alla mano pubblica è stabilita “a
priori” dal piano, il quale dapprima la quantifica con precisione, facendo
salve le indicazioni del Programma preliminare solo in senso più restrittivo, e
conseguentemente stabilisce a carico dei proprietari degli Ambiti di
compensazione (art. 18, comma 4 delle N.T.A.) un puntuale obbligo - una volta
approvato lo strumento urbanistico esecutivo - di cedere al Comune, o a
soggetti terzi dallo stesso individuati, la superficie fondiaria corrispondente
alle previsioni edificatorie riservate al Comune medesimo» (ib.).
Se è possibile attribuire una quota di
edificabilità non si può, quindi, arbitrariamente sottrarne una parte, per assenza
di fondamento normativo.
Tra le recenti normative citate dalla stessa
sentenza si ricorda la Finanziaria 2008, in merito alla cessione gratuita di
aree ed alla facoltà comunale di concedere volumetria premiale, per la sola destinazione
ad «edilizia residenziale sociale» o
«eventuale fornitura di alloggi a canone
calmierato, concordato e sociale» (L. n. 244/2007, art. 1, comma 258), in
cui si specifica comunque che tale operazione deve essere rapportata «al fabbisogno locale e in relazione
all'entità e al valore della trasformazione» (ib.).
La L. 133/2008, invece, consente all’art. 11
(Piano casa), mediante accordi di programma, la realizzazione di «programmi
integrati di promozione di edilizia residenziale e di riqualificazione urbana,
caratterizzati da elevati livelli di qualità in termini di vivibilità,
salubrità, sicurezza e sostenibilità ambientale ed energetica, anche attraverso
la risoluzione dei problemi di mobilità, promuovendo e valorizzando la
partecipazione di soggetti pubblici e privati» (L.133/2008, art. 11, comma 4), anche attraverso:
a) «il trasferimento di diritti edificatori in favore dei promotori
degli interventi di incremento del patrimonio abitativo;
b) incrementi premiali
di diritti edificatori finalizzati alla dotazione di servizi, spazi pubblici e
di miglioramento della qualità urbana, nel rispetto delle aree necessarie per
le superfici minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a
verde pubblico o a parcheggi di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici
2 aprile 1968, n. 1444;
c) provvedimenti mirati
alla riduzione del prelievo fiscale di pertinenza comunale o degli oneri di
costruzione;
d) la costituzione di
fondi immobiliari di cui al comma 3, lettera a) con la possibilità di prevedere
altresì il conferimento al fondo dei canoni di locazione, al netto delle spese
di gestione degli immobili;
e) la cessione, in tutto
o in parte, dei diritti edificatori come corrispettivo per la realizzazione anche
di unità abitative di proprietà pubblica da destinare alla locazione a canone
agevolato, ovvero da destinare alla alienazione in favore delle categorie
sociali svantaggiate»
(L.133/2008, art. 11, comma 5).
La questione fondante di quanto
precedentemente esposto è la base contrattuale (si parte da un accordo di
programma), non c’è un’imposizione di cessione senza accordo scritto, si nega
l’avocazione (parziale) di capacità edificatoria. L’errore cruciale
dell’impostazione normativa del nuovo PRG di Roma è stato il voler attribuire
una quota e, successivamente, scorporarla arbitrariamente per consentire un
rientro della stessa, mediante quello che è stato chiamato “contributo
straordinario”, avente le stesse caratteristiche normative onerose e non
volontarie degli oneri di urbanizzazione; infatti sebbene i proprietari non
siano obbligati a contribuire, la quota di edificabilità “aggiuntiva” è dovuta
solo se si accetta di versare il contributo straordinario, con modalità simili
alla quota di “edificabilità di base”.
È per tali ragioni che il Tar ha ritenuto
illegittima la previsione del contributo straordinario, sia per carenza di
necessaria base legislativa, non solo a livello statale, ma anche a livello
regionale, non potendosi considerare sufficiente, a tal fine, il riferimento
contenuto nell’art. 18, comma 7, della L.R. n. 21/2009 poiché attinente alla
sola materia dell’edilizia residenziale sociale.
Bisogna inoltre considerare che il PRG di
Roma è un PRG (non un Piano Urbanistico Comunale Generale delle L.R. 38/1999) e
che comunque la LUR del Lazio non è molto esplicita sulla perequazione: il
termine compare una sola volta nell’articolo relativo ai PUCG dove si dice che
le forme di perequazione sono previste dai PUOC, ovvero i “piani operativi” la
cui adozione ha «efficacia di
dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle
trasformazioni previste, ai fini della acquisizione pubblica, tramite
espropriazione, degli immobili» (L.R. 38/1999, art. 43).
La seguente tabella mostra le corrispondenze
tra i diversi regimi normativi:
Legislazione
nazionale |
L.R.
Lazio 38/1999 |
L.R.
Calabria 19/2002 |
Piano
Regolatore Generale |
Piano
Urbanistico Comunale Generale |
Piano
Strutturale Comunale |
Programma
Pluriennale di Attuazione |
|
Piano
Operativo Temporale |
Piano
Particolareggiato di Esecuzione |
Piano
Urbanistico Operativo Comunale |
Piano
Attuativo Unitario |
2. La
perequazione in Calabria
Introdotta dalla legge urbanistica regionale
(L.R. 19/2002), la perequazione in Calabria è ormai entrata nel corpo normativo
dei Piani Strutturali Comunali, la cui maggior parte e comunque ancora in
redazione. Conviene pertanto soffermarsi sui punti fermi che garantiscono
l’attuazione della perequazione in Calabria, istituto normativo ormai
obbligatorio, ma delicato nelle possibili forme attuative. L’art. 54 impone
l’applicazione del principio di perequazione, la cui applicazione può assumere
diverse forme a seconda dei casi. Sulla base di quanto legiferato è possibile
trovare le risposte alle principali preoccupazioni suscitate dalla succitata
sentenza del TAR del Lazio, che riapre il tema delle annose difficoltà
attuative dei princìpi fondanti gli obiettivi di un piano urbanistico.
D – Qual
è il fine della perequazione?
R – Perseguire «l’equa
distribuzione dei valori immobiliari prodotti dalla pianificazione urbanistica
e degli oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazioni territoriali»
(L.R. Calabria, 19/2002, art. 54, comma 1).
La risposta non è immediata. Esistono infatti
diverse forme di perequazione, tra cui alcune che inseguono i valori di mercato
mediante stime economiche. Nel succitato comma s’impone di distribuire
equamente:
-
i
valori immobiliari prodotti dalla pianificazione urbanistica;
-
gli
oneri derivanti dalla realizzazione delle dotazioni territoriali.
Quindi il “valore aggiunto” che bisogna
gestire deve derivare da pianificazione urbanistica, si devono considerare
certamente i valori prodotti da precedenti strumenti di pianificazione, ma non
le singole potenzialità di trasformazioni o di sviluppo che non derivano da
pianificazione urbanistica.
Gli oneri che si ripartiscono devono derivare
dalla realizzazione delle dotazioni territoriali, quindi non si può imporre una
quota di oneri che non rientri in esse.
Per quanto riguarda le linee guida
applicative delle L.R. 19/2002 il tema della perequazione è introdotto come
segue: «L’obiettivo della perequazione
urbanistica è quello di distribuire equamente, fra tutti i proprietari inclusi
all’interno dei perimetri che delimitano gli ambiti destinati alla
trasformazione urbana, i benefici derivanti dai processi di urbanizzazione. La
perequazione, inoltre, garantisce ai comuni la possibilità di tutelare gli
interessi pubblici, favorendo, attraverso i suoi meccanismi, l’acquisizione delle aree necessarie per la
realizzazione di tutte le infrastrutture e servizi; essa pertanto contribuisce
al concreto soddisfacimento della domanda abitativa e dei servizi pubblici e
generali.» (Linee guida, §5.6.1, p. 121),
presupponendo quindi una contestuale domanda di interventi d’interesse privato
e di strutture e servizi pubblici.
D – Dove si attua la perequazione in
Calabria?
R – Nei «terreni che vengono
destinati ad usi urbani» (L.R. Calabria, 19/2002, art. 54, comma 2), in cui
«il Piano Strutturale Comunale (P.S.C.)
riconosce la medesima possibilità edificatoria ai diversi ambiti che presentino
caratteristiche omogenee, in modo che ad uguale stato di fatto e di diritto
corrisponda una uguale misura del diritto edificatorio» (ib.)
Anche in questo caso in una semplice
affermazione sono presenti più elementi che conviene analizzare:
1.
I
terreni destinati ad usi urbani, all’interno di una legge che impone la
suddivisione tra «urbanizzato, urbanizzabile, agricolo e forestale» (ib., art. 20, comma 3, lettera a) esclude
automaticamente gli ambiti agricoli e quelli forestali.
2.
A
parità di caratteristiche omogenee di ogni ambito urbano si riconoscono le medesime
potenzialità edificatorie, indipendentemente dalle destinazioni previste dal
PSC, sulla base dell’analisi dello stato di fatto e di diritto, ovvero
considerando:
-
il
grado di utilizzo dell’ambito al momento di redazione del piano (edificazione,
infrastrutturazione, qualità del’ambiente e del costruito).
-
le
potenziali trasformazioni derivanti da pianificazione urbanistica (attuabili
prima dell’adozione del PSC) e, chiaramente, il sistema dei vincoli al momento
della redazione del piano.
D – Il
Comune può disporre di potere edificatorio derivante da eccedenze spettanti ad
un terreno?
R – Qualora
il piano preveda potere edificatorio che eccede la quota spettante ad un
terreno, il Comune può disporne utilizzando tale quota «per le finalità di interesse generale
previste nei suoi programmi di sviluppo economico, sociale e di tutela
ambientale» (ib. comma 3).
Non è chiaro come possa verificarsi l’eccedenza
di cui sopra, probabilmente si è ipotizzata un’eventualità in caso di
trasferimento di quote di edificabilità o sopraggiungimento di limiti; oppure è
semplicemente un comma che rende flessibile l’attuazione del principio di
perequazione. Le ipotesi possono essere diverse a circa otto anni
dall’emanazione della legge e, pertanto, le difficoltà attuative ed i possibili
ricorsi possono essere tanti e variegati.
C’è chi come Francesco Forte (dagli atti del
Seminario Nazionale di studio sul tema "Analisi e valutazione dei
risultati della perequazione urbanistica", 2004), che da sempre si occupa
di perequazione urbanistica, ipotizza che, decodificato lo stato di fatto e di
diritto dei suoli in maniera tecnica, specificata la quantità di edificazione
conseguente a questa condizione di stato, si debba individuare il plafond, non
unitario ed omogeneo come enunciato nel 1988 nella proposta Cutrera e,
successivamente, il Comune avrebbe la potestà di andare oltre il plafond.
Questo principio renderebbe possibile lo scambio tra quantità di edificazione
che il comune cede ai promotori di intervento in cambio di aree, opere di
urbanizzazione ed azioni organizzative. Il tutto andrebbe sempre e comunque
correlato a finalità di interesse generale previste in programmi di sviluppo
economico, sociale e di tutela ambientale.
A mio avviso, quando un comma è ambiguo
dev’essere corretto dettagliandolo. In attesa di ciò, può essere utile
ripercorrere le linee guida applicative della L.R. 19/2002, vigenti dal 2006,
da cui si evince il seguente metodo:
1. Il PSC definisce e perimetra gli ambiti
territoriali unitari (ATU) e localizza le infrastrutture nel disegno della
città.
2. «A tutte le aree così individuate potrà essere
assegnato un Indice Territoriale di Base (plafond di edificabilità) che sarà
determinato sulla base della complessiva capacità insediativa ottimale
calcolata dal PSC, in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 54, ovvero che
tutte le aree destinate ad usi urbani debbano godere di una loro edificabilità
indifferente dalle destinazioni d'uso attribuite dal Piano.
3. Il
PSC ripartirà la complessiva capacità insediativa prevista, applicando di norma
indici di edificabilità differenziati in base alle condizioni geomorfologiche
ambientali e funzionali ed alle caratteristiche di ogni ambito, riconoscendo
tuttavia la medesima capacità edificatoria ai diversi ambiti che presentino
caratteristiche omogenee, “in modo che ad uguale stato di fatto e di diritto
corrisponda una uguale misura del diritto edificatorio”» (Linee guida, § 5.6.2, p 123).
Il “potrà” al secondo punto implica
logicamente una possibilità e non un obbligo che, in effetti, non emergeva
neanche dalla legge dove, come detto precedentemente, sembra normarsi
un’eventualità.
Quindi la quantità di edificazione che il piano
attribuisce alle aree di trasformazione urbana sarà composta da due quote:
a) operazioni di permuta con i privati;
b) interventi di edilizia residenziale pubblica;
c)
compensare eventuali
limitazioni conseguenti da misure di salvaguardia di beni culturali, se questi
sono ricompresi negli ambiti di trasformazione urbana» (Linee guida, § 5.6.2, pp. 123-124).
Successivamente, in merito alla perequazione
nel POT e nei PAU, le linee guida si spingono oltre affermando che «l’Amministrazione potrà prevedere una
Tesoreria Perequativa che diventa luogo virtuale nel quale depositare
temporaneamente:
Quanto appena esposto è certamente legittimo se
il Comune prende accordi scritti con i proprietari delle aree (compatibilmente
alle condizioni di sostenibilità e nell’interesse generale), ma, diversamente,
rischia di diventare inapplicabile, sia perché la L.R. 19/2002 non ne parla esplicitamente
e sia per la difficoltà di gestione di eventuali registri delle quote
edificatorie.
Cautelativamente le linee guida utilizzano
sempre il “potrà”, che, a mio parere, sottintende tutto ciò che è necessario
affinché si verifichino le opportune condizioni; per sicurezza, è sempre meglio
non dare per scontata l’applicazione di un potere d’azione se tale potere non è
disponibile esplicitamente, rinviando, eventualmente, ad accordi tra le parti,
come insegna la sentenza del TAR.
D – Il
Comune può disporre delle aree acquisite mediate la procedura di perequazione
se queste sono definite, dal PSC, non necessarie alla realizzazione di spazi
complementari all’edificazione?
R – Sì.
Qui la legge è certamente più chiara. Il
comma quattro non lascia dubbi: «Le aree le quali, secondo le regole stabilite dal Piano
Strutturale Comunale (P.S.C.), non sono necessarie per realizzare le
costruzioni e gli spazi privati a queste complementari, entrano a far parte del
patrimonio fondiario del Comune, che le utilizza per realizzare strade ed
attrezzature urbane nonché per ricavarne lotti edificabili da utilizzare sia
per i previsti programmi di sviluppo economico e sociale sia per le permute
necessarie ad assicurare ai proprietari dei terreni destinati dal P.S.C. ad usi
pubblici, la possibilità di costruire quanto di loro spettanza» (L.R. 19/2002, art. 54, comma 4).
D – Quali
sono le procedure per attivare quanto precedentemente descritto?
R – Mediante convenzioni.
«L’attuazione della perequazione urbanistica si realizza attraverso un
accordo di tipo convenzionale che prevede la compensazione tra suolo ceduto o
acquisito e diritti edificatori acquisiti o ceduti» (L.R. 19/2002, art. 54,
comma 5). Tale affermazione è coerente con il comma successivo in cui si
capisce che la
garanzia di equità, impostata a scala di PSC, con criteri e metodi definiti nel
REU, è assicurata in fase attuativa dai POT o dai PAU, procedendo anche
mediante sovrapposizione dell’assetto particellare. Sono infatti POT e PAU che
«nel
disciplinare gli interventi di trasformazione da attuare in forma unitaria,
assicurano la ripartizione dei diritti edificatori e dei relativi oneri tra
tutti i proprietari degli immobili interessati, indipendentemente dalle
destinazioni specifiche assegnate alle singole aree» (L.R. 19/2002, art. 54, comma 6).
D –
Qual è il rapporto tra perequazione e comparti edificatori?
R – Una
forma di perequazione è certamente quella legata ai comparti edificatori. Prima dell’attuazione della perequazione devono
essere individuati i comparti dal PSC o da «strumenti attuativi delle previsioni urbanistiche generali» (L.R. 19/2002, art. 31, comma 2). La loro «proposizione, predisposizione ed attuazione
è demandata ai proprietari singoli, associati o riuniti in consorzio degli
immobili in essi compresi, a promotori cui i proprietari stessi possono
conferire mandato, al Comune in
qualità di proponente o mandatario esso stesso» (ib.).
«Gli strumenti sovraordinati
che individuano i comparti devono stabilire:
a) l’estensione territoriale e la volumetria complessiva
realizzabile;
b) le modalità d’intervento definendo il modello geologico-tecnico
del sottosuolo individuato mediante le opportune indagini di cui all’art. 20,
comma 4, lett. b);
c) le funzioni ammissibili;
d) le tipologie d’intervento;
e) i corrispettivi monetari od in forma specifica; la quantità e
la localizzazione degli immobili da cedere gratuitamente al Comune per la
realizzazione di infrastrutture, attrezzature e aree verdi;
f) gli schemi di convenzione da
sottoscriversi da parte dei partecipanti al comparto unitamente agli eventuali
mandatari ed all’Amministrazione comunale, in forza dei quali vengano stabiliti
i criteri, le formule ed i valori per le operazioni di conferimento dei beni,
il loro concambio e/o le eventuali permute tra beni conferiti e risultati
finali dei derivanti dalla realizzazione del comparto. Detti schemi provvedono
anche alla ripartizione, secondo le quote di spettanza, delle spese generali da
suddividere tra i soggetti partecipi, gli oneri specifici e quelli fiscali, per
i quali comunque si applicano le agevolazioni di cui alla legge 21 dicembre
2001, n. 448» (L.R. 19/2002, art. 31, comma 3).
A mio parere,
considerando che il Regolamento Edilizio e Urbanistico (REU) è annesso al PSC
(LR 19/2002, art. 21, comma 2) se il REU stabilisce «ogni altra forma o disposizione finalizzata alla corretta gestione del
Piano, ivi comprese quelle riguardanti il perseguimento degli obiettivi
perequativi di cui al successivo articolo 54» (ib. lettera f), allora è
opportuno che lo faccia mediante i comparti, strumento in grado di garantire
realmente l’attuazione della perequazione. Non bisogna inoltre trascurare il
fatto che la LUR Calabria disciplina dettagliatamente quello che gli strumenti
sovraordinati “devono stabilire” per i comparti, senza ambiguità alcuna. La
possibilità di rinviare la perimetrazione dei comparti a strumenti attuativi è
invece interpretabile ma, probabilmente, ci si riferisce a quei PSC che
prevedono il POT per attuazione complessa, non certo per i comuni
medio-piccoli, occupanti la maggior parte del territorio regionale.
Probabilmente
la forma di perequazione più “serena” e gestibile è proprio quella che procede
mediante i comparti edificatori, anche perché «il concorso dei proprietari
rappresentanti la maggioranza assoluta del valore dell’intero comparto in base
all’imponibile catastale, è sufficiente a costituire il consorzio ai fini della
presentazione, al Comune, della proposte di attuazione dell’intero comparto» (LR 19/2002, art. 21, comma 4).
La questione apre un ulteriore dibattito in
merito alla partecipazione, affinché la costituzione dei consorzi per
l’attuazione dei comparti sia definibile, anche a grandi linee, già in fase di
redazione di PSC, strumento per cui è prevista un’ampia partecipazione dei cittadini
e degli attori locali.
Reperibilità delle
fonti
Legge
Regionale del Lazio N. 38 del 22-12-1999, "Norme sul Governo del
Territorio".
http://www.eddyburg.it/filemanager/download/1273/Lazio.LR38.1999.a.febb.08.doc
Sentenza
1524 del 4 febbraio 2010 del Tar del Lazio.
http://www.ediliziaurbanistica.it/pf/testo_news/5153
[1] L’istituto dei programmi integrati è stato ulteriormente disciplinato nella Regione Lazio dalla L.R. 26 giugno 1997, n. 22.